Edoardo Sanguineti e la ’Patafisica (Sandro Montalto)

Edoardo Sanguineti e la ’Patafisica (Sandro Montalto)
Edoardo Sanguineti (fotografia: © Silvia Ambrosi)

Edoardo Sanguineti è stato un intellettuale a tutto tondo, un vero maestro dell’interdisciplinarietà come unico, elastico (pur nel suo essere fondato su solide basi) strumento efficace per abitare e interpretare il mondo. Un intellettuale libero e aperto alle sollecitazioni, universale nonostante la sua scoperta parzialità, insofferente nei confronti degli steccati e delle etichette di comodo; un poeta che ha saputo farsi catalizzatore per le arti e giocare con le parole senza mai negare l’emozione; un avanguardista che non ha mai smesso di rileggere il passato; uno scrittore e critico che non ha mai tradito la vocazione anche politica della sua missione. E un cultore di musica, cinema ed arte, un lessicografo, un commediografo, un traduttore, un docente, un polemista e un parodista, un pensatore e un performer, un giocoliere delle parole; e un patafisico.

Stefano Scodanibbio ed Edoardo Sanguineti Alfabeto Apocalittico

Foto estratta dal libro Temperamento Sanguineti a cura di Tania Lorandi e Sandro Montalto, ed. Joker, p.76, Stefano Scodanibbio e Edoardo Sanguineti in  Alfabeto apocalittico, Cesenatico 2004 (foto: Davide Gnola e Comune di Cesenatico)

Un suo verso, «oggi il mio stile è non avere stile», riflette sì sull’ideale brechtiano dell’anonimato della scrittura, ma anche su una possibile strategia per sfuggire a ciò che rende l’artista definibile ed etichettabile; insomma per sfuggire al mercato che appiattisce, serializza, riduce a merce e dunque uniforma. Da buon patafisico, Sanguineti ha cercato sì di salvaguardare la propria voce e unità profonda, ma nella pluralità delle manifestazioni della sua arte ha coltivato la differenza, il contrasto, la varietà, in accordo con due dei punti dell’“eptalogo patafisico”[1]: «La Patafisica è la scienza del Particolare e delle leggi che governano le eccezioni; di fronte alla Patafisica tutto fa lo stesso. La Patafisica non predica né ribellione né sottomissione, né moralità né immoralità, né riformismo né conservatorismo: non promette né felicità né infelicità e soprattutto non si accinge a salvare il mondo».

Il Sanguineti oulipiano/oplepiano e patafisico, dunque (il quale ha tra l’altro coperto diverse cariche da quelle di Trascendente Satrapo del “Collegio di ’Patafisica” e dunque Gran Maestro dell’Ordine della Grande Giduglia, nonché Faraone Poetico dell’“Institutum Patafisicum Mediolanense”, a quelle di membro di OULIPO, presidente di OPLEPO, etc.), dissemina la sua opera di indizi patafisici: da alcuni interventi saggistici (si leggano contributi come Ubu in bianco e nero, in Giornalino secondo del 1977), ad alcune comparse nella poesia (la «molle giduglia» citata in Monorima monoritmica berluscocchiesca, i versi «niente io più so: / sono un albero strano, / un postumano, // ma semiologico, / fisico e patafisico, / e patologico» in Mantova, 13.9.6 e il verso «e, polpo in volo, patafisicando» di Omaggio a Dürer-M6, o la poesia Metapatadialogo).

Edoardo Sanguineti aspetta Francesco Pirella

Foto estratta dal libro Temperamento Sanguineti a cura di Tania Lorandi e Sandro Montalto, ed. Joker, p.116, Edoardo Sanguineti aspetta che Francesco Pirella gli “imprima” il volto al Museo della Stampa, 2004 (foto: Silvia Ambrosi e Archivio Museo della Stampa di Genova)

Tra gli artisti con cui ha collaborato citeremo Enrico Baj, Antonio Bueno, Mario Persico, Lucio Del Pezzo, Guido Blasi, Antonio Fomez, Geppino Cilento, Guido Biasi, Salvatore Paladino, Antonio Papasso, Valeriano Trubbiani, Carol Rama, Francesco Pirella, Emanuele Luzzati, Luca Alinari, Ugo Nespolo, Marco Nereo Rotelli; tra i musicisti, sopra ogni altro Luciano Berio, Vinko Globokar, Andrea Liberovici, Luca Lombardi, Fausto Razzi, Stefano Scodanibbio, Aureliano Cattaneo. Sempre, rapportandosi ad artisti così diversi, ha cercato la materialità e l’attualità della parola, giocando però volentieri con alto e basso (l’opera e il rap, la pittura politica e la pubblicità…) senza fare distinzioni aprioristiche.

Ben consapevole della funzione demistificante e demitizzante del gioco, soprattutto quando è associato all’onirismo e non si premura di nascondere le pulsioni primitive dell’uomo, anche in questa parte della sua produzione il poeta difende con l’esempio la libertà. Sanguineti ha ben capito l’importanza del gioco, ovviamente serissimo, come ci è stato insegnato da teorici come Huizinga; Virgilio Dagnino, in L’uomo patafisico è extra-lucido, scrive: «la patafisica è troppo umana per non essere seria e faceta allo stesso tempo»[2].

Edoardo Sanguineti e Luciana a Viareggio

Foto estratta dal libro Temperamento Sanguineti a cura di Tania Lorandi e Sandro Montalto, ed. Joker, p.129, Edoardo aLuciana Sanguineti invitati d’onore al carnevale di Viareggio 2010 (foto: Carlo Battisti)

Ecco allora fioccare da una parte la strategia sanguinetiana (e già gozzaniana) di fare letteratura “obsolescendo”, mediante la codificazione non di versi nuovi destinati all’invecchiamento, ma fin dall’inizio sorpassati e desueti; dall’altra (a partire dalla fase “comico-apocalittica” della sua produzione) le molte descrizioni patetiche (in ricordo del “momento eroico-patetico” e del “momento cinico” nel quale secondo lui si esaurisce ogni avanguardia[3]) del sé: «le guaste labbra, il morto collo, l’insondabile ventre» in Erotopaegnia 14; «sono un bronzo di Riace (uno dei due, quello che più ti piace): e però sono, / soltanto, insecchito, ingobbito (e un po’ invecchito): (e poi rasato, spelato, spellato): / anche se sembro, come vedi (e tocchi), più sviluppato, in ciccia, nel mio picio: / io vivo ancora una mia fase alquanto primordiale del mio restauro (con / tumefazioni, incrostazioni, con corrosioni corrotte e le ossa rotte)…» in Cataletto 1.

Da sempre convintamente in opposizione ad ogni “poetese”, alla metafisica della poesia, con la convinzione che sia indispensabile demistificare il linguaggio, Sanguineti era convinto della necessità di sabotare regole e funzioni della lingua corrente, di un “sabotaggio della letteratura”, anche teorizzato nel saggio Un giuoco sociale, che ben si accorda con il celebre aforisma di Jarry: “non avremo distrutto nulla fino a quando non avremo demolito anche le macerie!”.

Fedele alla sua identità di materialista storico, granitica nella teoria e spesso messa alla prova nei versi, Sanguineti è sempre stato attento alla «prosa pratica del mondo»; fino alla nota chiusura di Postkarten 50 («non ho creduto in niente») che non è un ripensamento, una confessione negativa, bensì l’ulteriore affermazione di un intelletto che ha rifiutato i dogmi preferendo meditare la precarietà e la plurale identità delle cose.

Il tutto in piena concordanza con un altro fondamentale passaggio di Dagnino: «la patafisica non tiene in considerazione alcuna saggezza da museo, la saggezza in naftalina. La vera saggezza come la vera libertà è una creazione continua, e si potrebbe dire una continua provocazione, una continua scarica di dinamite nei confronti delle saggezze convenzionali, che si alimentano negli obitori della storia».

Temperamento Sanguineti

Disegno in copertina di Mario Persico: Il Sanguineti-pensiero, 2003, grafite e collage su carta

Per chi volesse approfondire il discorso su tutta la parabola creativa e critica di Sanguineti, rimando al volume Temperamento Sanguineti, a cura di Tania Lorandi e Sandro Montalto (Edizioni Joker, Novi Ligure 2011; 166 pp. + DVD).

Sandro Montalto


 

[1] Cfr. Enrico Baj, Patafisica, Bompiani, Milano 1982, pp. 32-36
[2] Cfr. Enrico Baj, Patafisica, Bompiani, Milano 1982, p. 863
[3] Edoardo Sanguineti, Sopra l’avanguardia, in: Ideologia e linguaggio, Feltrinelli, Milano 1965, pp. 54-58

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